La prima volta che ho fatto la ceretta totale zona bikini ero a Londra, circa 10 anni fa. L’istituto in questione era uscito su tutti i giornali di moda (ah, essere fashion victim) e avevo prenotato la tortura dall’Italia. Così ho salutato il mio gruppo e sono andata in missione. “Tu non sei normale”, mi disse una pierre. Una frase che mi ripetono spesso, e me la ripeto anche da sola, ma poi mi dico: che cosa potrei scrivere se no?
Mi ricordo solo che la stanza era buia e che la ragazza mi ha dato da stringere un maialino rosa di gomma per aiutarmi al momento dello strappo. Dopo, il buio. Ho dimenticato il dolore, un po’ come quelli del parto (credo, ma non ho idea). Finche l’Hollywood (come è anche definita la brasiliana totale) non è diventata un must anche a Milano che non si ferma di fronte a nulla, figuriamoci di fronte all’epilazione. Ammetto, preferisco il niente rispetto alla strisciolina aberrante che ho visto mille volte in palestre e piscine, detta anche pista di atterraggio. Per quanto acrobatico sia l’amante, escludo che atterri lì che poi ci vuole comunque il transfer per arrivare a destinazione e chissà cosa succede nel frattempo. E così a Milano sono andata a uno dei primi centri di ceretta brasiliana, finendo nelle mani di un’amorevole estetista chiamata Giada. Ora la domanda è di quelle irrimandabili: ma Giada è un nome che le estetiste assumono quando si diplomano, tipo papa Francesco o Innocenzo I, o tutte quelle che si chiamano Giada fanno le estetiste? Conosco solo Giade estetiste. No, ne conosco una che non lo è ma, pensadoci bene, sarebbe perfetta nel ruolo. E comunque Giada, la mia Giada, era la quintessenza della dolcezza mentre ti sradicava anche l’anima. “Apri le gambine”. Le gambine??? Con somma abilità, avanti e dietro, era felice di ripassare la cera bollente mentre tu guardavi su verso il neon e pensavi: “ma io, io no? ma io, ma perchè?”. Mi rendo conto che non è molto articolato come pensiero, ma cosa vuoi pensare mentre ti scerettano? Alla fine, tutte le volte che sono andata alla tortura, ho chiesto di Giada. Un po’ perché ormai era esperta della mia anatomia che neanche il ginecologo; e poi, mi trovavo bene a buttare lì lamenti e frasi inconsulte tra uno strappo e l’altro con lei che intermezzava con voce angelica le pene dell’inferno. Da allora ho fatto l’Hollywood diverse volte. L’ho fatta anche prima di un intervento all’utero in cui mi dissero di rasarmi “la parte”. Infermiera: “Dobbiamo rasare”. Io. “No, guardi ci ho già pensato”. “Mi fa controllare?” “Eh, guardi pure”. “Ammazza”. (sono soddisfazioni). Ma poi è successo l’inevitabile. L’Hollywood è diventato mainstream. Un mio ex mi ha confermato che ne parlava appunto a pranzo con dei colleghi (a pranzo?) e tutti confermavano che le donne adesso si depilano tutte completamente. Un argomento di spessore e adatto a quando si mangia, ma ok. Risultato: come early adopter, ho deciso di abbandonare la tortura. Per mesi, anni e mi sento di sconsigliare il rasoio perché sì fa meno male ma avrete una grattugia nelle mutande: è insopportabile, per voi e per eventuali “visitors”.
Però, però, in momento di isolamento, mi è venuto il pensiero di fare un hollywood self made. Ho delle nuove strisce (della Coop, finché non le tagliano da beni di prima necessità posso ricomprarle) che sembrano funzionare assai bene (almeno per le gambe). Il problema è fare prima dei tutorial di contorsionismo avanzato per arrivare dove non batte il sole. Non so se lo farò, può darsi che comincerò e poi desisterò. Ma se lo faccio, ovviamente ve lo scrivo.
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