Per tornare dal Kerala (sud ovest dell’India) ci siamo alzati alle 5. Ho passato gli ultimi minuti prima del viaggio nella mia stanza al Vivanta by Taj Bekal stesa sul dondolo (un letto meraviglioso), con gli occhi chiusi pesanti come macigni e lo stomaco sottosopra. Nella lounge c’erano caffè e croissant. Ho rubato tutti quelli del piatto di Severino. Le partenze mi feriscono, come se non avessi ancora finito di star in un posto (per far cosa, non si sa bene). Così devo assolutamente tamponare il senso di vuoto con pensieri e parole, ma anche i pancake di solito funzionano.
Sul pulmino ho chiuso gli occhi. Per arrivare all’aeroporto di Mangalore ci vogliono circa due ore e il percorso lo conoscevo dal viaggio di andata, fatto due giorni prima. Eppure, a occhi chiusi, rivedevo tutto.
Le strade parlano. Quelle dell’India urlano. Non hanno censure, perbenismo o falsi pudori. Le strade sono lì, a tua disposizione, e puoi prendere quello che vuoi. L’alba dei ragazzini alla fermata del bus, che aspettano in uniforme di andare a scuola. Le donne che con una ramazza rassettano il cortile, che che si impolvera ogni giorno e ogni giorno viene spolverato. Sulle strade c’è un movimento simile a un flusso di sangue. Sarà perché la terra d’India è rossa e trasuda umido ed è viva. Ogni monsone spacca, crea buche, dissesta, costringe a svolte, a frenate, a strombazzate di clacson. Nella strada si scorre come globuli rossi. Tutti hanno una meta: gli autocarri con il carico di bombole di gas, quelli con il carico di operai scalzi destinazione cantiere, le coppie in moto con gli acquisti da fare o già fatti, le auto nuove, quelle ammaccate. Noi andiamo all’aeroporto.
L’aeroporto è piccolo e nuovo. La Jet Airways, la nostra compagnia, vola qui da Mumbai. Dunque faremo due voli, a brevissima distanza uno dell’altro, Mangalore-Mumbai, Mumba-Delhi, la destinazione finale. In India ogni bagaglio a mano viene dotato di un’etichetta, vidimata al controllo sicurezza, quando le donne, in apposito camerino, vengono “perquisite” da agenti donne, che di solito guardano in terra o in aria e mai te, e poi timbrano la carta d’imbarco con un inchiostro fresco che i passeggeri sventolano in aria prima di infilare nel passaporto, perché non lasci segno.
Gli aerei, tutti quelli che ho presi, erano nuovi. In business, diversamente dalle compagnie europee, non ci sono sedili ma poltrone, simili a troni. Ma l’Economy è comoda, e il servizio puntuale e gentile. E poi c’è la musica, quella musica. L’ho notata appena ho messo il piede dentro nel primo volo a Malpensa e mi sono accomodata in premiere. Una playlist di pezzi strumentali al pianoforte, tra cui ho riconosciuto Steven Schalcks, John Lennon (Imagine, estended version dura più o meno 20 minuti, scherzo…), Cindy Lauper (Time after Time).
Su tutti i voli ho sentito la stessa playlist. E ho avuto la stessa sensazione di essere nel “posto” giusto. Di non aver sbagliato. Che fosse vecchia Europa o un aeroporto in mezzo alla foresta tropicale (questo è il Kerala). Non so se è una scelta, su di me ha avuto un effetto calmante come quando entri in casa e hai lasciato la luce accesa e ti senti inspiegabilmente meno sola.
Sul primo volo, sempre per quel vuoto di cui sopra, ho mangiato il panino vegetariano, una specie di fagottino di pasta sfoglia con verdure(buono), mentre Laura accanto a me, apriva il suo sfilatino farcito di pollo in due per mangiare solo uno (“dissero pollo, eran peperoni”).
Scesi a Mumbai, il colpo di genio: il volo che dovevamo prendere stava imbarcando, ma si trovava esattamente a 4 uscite dalla porta del finger da cui eravamo sbarcati. E’ bastato fare un corridoio comune, far controllare le carte d’imbarco e siamo saliti sul volo. Nell’aria suonava Imagine di John Lennon e io ero seduta accanto a un ragazzo che aveva il tomo di 1Q84 di Murakami sulle ginocchia. Volevo attaccare bottone per dirgli che era il mio libro preferito dell’anno, ma il ragazzo – nasata la mia imboscata – ha messo il tomo sul tavolinetto e, come fosse un cuscino, ci si è accasciato sopra per dormire.
Io, invece, per via di quel vuoto di cui sopra (ma che voragine era?), ho mangiato pollo con riso e verdure e anche un gelato alla vaniglia. Ho letto la rivista di Jet Airways, un mensile patinato, pieno di cose interessanti. Finalmente, appoggiata al finestrino, mi sono addormentata. E sono scesa a Delhi, di cui sapete già tutto.
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