Se sei un atleta britannico e gareggi alle Olimpiadi nel Paese che le ospita sei uno sportivo alla gara della vita. In quale sport? Non è poi così importante: ai Giochi funziona così.
Se la divisa (in gergo modaiolo: outfit) te la crea Stella McCartney sei un atleta fortunato.
Stella, forte di studi alla Saint Martins e di una personalità capace di ridimensionare un cognome più che pesante, ha saputo costruirsi negli anni una credibilità non comune come fashion designer. E mica solo in Gran Bretagna. Non paga, poi, da qualche tempo disegna con successo in collaborazione con Adidas una linea di capi sportivi: sembra lei quello che ci vuole. E, infatti, lo è.
Se sei Stella McCartney e devi concepire l’abbigliamento per 47 sport-ognuno con un dress code specifico e rigoroso, altro che protocollo reale, il CIO è peggio- cosa fai? Parti dagli atleti. E capisci che per uno che si presenta agli Olympic Games e, lì, si gioca, se non la carriera, anni di allenamento e di sicuro la faccia, l’abito non è una cosa così secondaria. Anzi. Non si può dare il meglio in una gara non qualsiasi abbigliati in modo qualsiasi. Lo dicono i protagonisti. Stella esegue e, per le ladies, le mortificanti tute unisex, informi più che uniformi, non le concepisce neanche, tanto per dirne una.
Se sei Stella, puoi anche fregartene dei criticoni che ti accusano di aver usato troppo blu e di non aver esibito a dovere la Union Jack. Pazienza, ché tanto ti ha promosso anche il Financial Times e non solo quello.
Invece, se sei una fanciulla qualsiasi, con un certa propensione al fashion e in pieno fervore olimpico, vai in Fulham Road (dove c’è lo Stella’s store sportivo) e la divisa te la compri o almeno te la provi.
Perché alle Olimpiadi l’importante è partecipare, si sa.
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