A Cassis mi sono fermata principalmente perché pensavo fosse la patria del liquore che si mette nel Kir (apertivo a base di vino bianco, prosecco o champagne con creme de Cassis, capito il mio nesso?). Invece era giusto il nome del paese, ma Cassis è la bacca da cui si ricava il liquirino. In verità avevo visto che era uno dei punti di accesso del parco delle Calanche, scogliere a picco sul mare che si possono visitare a piedi e in battello, a seconda della voglia e volevo andarci.
Dopo i miei 650 km, sono arrivata al parcheggio indicato dalla proprietaria dello studio che avevo scelto come alloggio, dove ho lasciato la gloriosa Panda per andare a ritirare le chiavi prima di spostarmi armi e bagagli nei vicoletti dove avevo preso casa.
Ritirate le chiavi, ho cercato l’ariosa Rue Bonaparte (una specie di carrugio) e traslato i bagagli al primo piano in quello che più che uno studio sembrava una cantina: l’edificio vecchiotto, le scale buie, un monolocale molto basic ma sicuramente in una zona pittoresca.
Viaggiare da sola ha enormi vantaggi (non devi discutere o molto peggio mostrarti d’accordo su ogni dettaglio del viaggio) ma ha anche i suoi problemi: dopo aver consumato una birretta sul porticciolo a 4,5 euro (un filo esosi), ho deciso di mangiare a casa e sentirmi molto francese, quindi baguette e formaggio di capra il cui odore suppongo sia arrivato tranquillamente ai Pirenei. E prosecco, regalatomi al compleanno e caricato sulla Panda.
Cena luculliana, seguita da un momento thriller quando si è bloccata la maniglia della porta del bagno. Ho provato in ogni modo a aprirla (nota: va girata verso l’alto e non, come al solito, verso il basso, i francesi, vabbè…) e quindi alle 10, dopo aver fatto la pace con me stessa e ammesso che non volevo fare pipì nella bottiglia dell’acqua, ho chiamato 35 volte la padrona di casa finché non ha risposto e il marito, con trapano e attrezzi vari, è accorso in mio soccorso. Alle 10:40 la porta del bagno era aperta (“Un consiglio, madame: non la chiuda“. Eh grazie, ci ero arrivata anche io). Ma il thriller non era che all’inizio. Alle due, svegliatami per andare in bagno, la porta era…aperta ma c’erano anche delle belle piattoline…uscite nottetempo per farmi una sorpresa. Non sono rimasta con le mani in mano…ma neanche loro con le zampe in zampa. Si sono rintanate dove non riuscivo a beccarle. Tornata in camera, presa dalla fobia, ho chiuso i bagagli e sigillato ogni cosa. “Devo stare calma” dicevo, “calma”. Ma allo sbucare di una terza piattola, la furia si è impossesseta di me e l’ho…eliminata. Con nessuna altra in vista, e l’antico proposito di rimanere calma, mi sono stesa sul letto e ho chiuso gli occhi. La calma era tale che vedevo solo maree di piattole arrivare ovunque, salire sul letto e non vi dico altro.
Al che ho trovato un rimedio infallibile contro le piattole: un bel sonnifero. 20 gocce al giorno tolgono le piattole di torno. Un sonno profondo e senza insetti.
La mattina dopo di scarafaggi neanche l’ombra. Dopo la colazione presso una brasserie dove ti portano un croissant e pane e marmellata (comunque se volevo pane e marmellata la colazione la facevo a casa, i Francesi, vabbé, 2), mi sono avviata per un percorso non segnalato benissimo per la visita di una calanca lì vicina, Port Miou, arrivando prima a un fiordo lungo 1500 metri, in cui rimane un rudere della Solvay che anche qui (e anche a casa mia) estraeva pietra per la soda, e sono oggi ormeggiata tutto l’anno 500 barche sopra uno specchio di acqua verde e trasparente. Consiglio abbigliamento easy, scarpe da trekking o camminata, crema solare a palate, cappello e calma. Nonostante il caldo, la presenza dei pini di Aleppo (che crescono in un metro quadrato di terra e dunque anche sulla roccia) donano refrigerio e di solito c’è ventilazione.
Dalla punta di una delle prime insenature che ho raggiunto si scendeva a una piana (sempre di pietra) dove c’è una spiaggia (una roccia) naturista. Ho proseguito oltre e dopo altre due orette di cammino sono arrivata a una piccola baia con piccola spiaggia di sassi dove mi sono fermata. C’erano già diverse persone e tutte, tutte, con la baguette e il prosciutto perché qui non si scherza: pic nic is everything. C’era una coppia, matura, che già mi pareva carina quando si faceva le foto appoggiata a una roccia sotto un pino, poi, al momento della baguette, i due si sono trasformati nel ritratto dell’amore. Miracoli del pane, del pic nic, delle calanque e del sole a picco.
Fedele al motto “quando mi ricapita” ho fatto il bagno anche se l’acqua era freddina, impiegando il mio usuale tempo di 45 minuti per tuffarmi e soffrendo a ogni cm come solo la nazionale italiana agli Europei. Valeva la pena.
Verso le 2:30 con un sole che spaccava le pietre, sono rientrara per mangiare, salutare le piattole e pepararmi per la gita in battello, che raggiungeva altre insenture più lontane permettendomi di ammirarle dall’acqua, ribaltando il punto di vista. Navigare anche solo per una gita turistica è sempre meraviglioso, dall’opuscolo fornitomi dal personale di bordo ho imparato che: qui, Winston Churchill ha risieduto dipingendo la roccia che si chiama Cape Canaille; che dalle cave di roccia che abbiamo visto sono partiti blocchi che hanno fatto da base alla statua della Libertà; che a Cap Morgiu ci sono le mie casette favortite, le Cabanon, dove vorrei ritirarmi a bere Pastis; che le francesi invecchiano meglio di noi, almeno la signora coi capelli grigi, in top e calzoncini, che avevo davanti in barca era una bellezza tale che l’ho immortalata neanche fosse una Calanca pure lei. La gità durava (mi pare) un’ora e mezzo e arrivaa insenature dove i pinnacoli di roccia creano scenografie superbe. Sarebbero da esplorare con più tempo, arrivandoci a piedi e fermandosi ogni giorno in una.
Cena al ristorante Le Bonaparte (sotto casa, praticamente) consigliatomi da ben due locali, la ragazza che vendeva piccoli bijoux e abitini francesi e da cui ho comprato orecchini con (finto) corallo rosa e la padrona dello studio-topaia. Tavoli all’aperto nel vicolo, cena alle 7 (molto francese): cozze alla marinara (buone ma poco saporite), pesce del giorno con verdure, tarte tatin, e, dopo il vino della casa, un bicchierino di Cassis. Come fine di avventura, coerente.
(la seconda notte non ho incrociato piattole, però mi è venuto uno sfogo sotto un’ascella che per tutto il viaggio ho creduto fosse fuoco di Sant’Antonio, sbagliandomi, fortunatamente)
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